Nel corso dell’ultima settimana il Governo ha emanato provvedimenti d’urgenza al fine di contenere la diffusione del Virus Covid-19 sul territorio nazionale.
Nella sostanza, il decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri ha imposto a tutti i cittadini italiani di evitare di uscire dalla propria abitazione se non strettamente necessario e segnatamente, all’art. 1 c. 1 lettera a) del DPCM “Anticovid”, per:

  • comprovate esigenze lavorative;
  • situazioni di necessità;
  • motivi di salute;
  • rientro presso il proprio domicilio, abitazione o residenza.

La violazione del summenzionato Decreto integra violazione dell’art. 650 C.P. il quale testualmente prevede che: “Chiunque non osserva un provvedimento legalmente dato dall’autorità per ragione di giustizia o di sicurezza pubblica o d’ordine pubblico o d’igiene, è punito, se il fatto non costituisce un più grave reato con l’arresto fino a tre mesi o con l’ammenda fino a euro 206″.

Al fine di evitare dunque contestazioni da parte delle autorità di controllo, occorre quindi limitare allo stretto necessario gli spostamenti ed attenersi rigorosamente alle indicazioni ampiamente pubblicizzate e diffuse dal Governo, anche tramite mezzi televisivi.
Tuttavia, si ritiene che alcuni suggerimenti o chiarimenti possano essere utili al fine di non creare confusione su concetti giuridici ed essere maggiormente consapevoli:

  • innanzitutto, occorre precisare che non vi sono indicazioni normative su distinzioni di città negli spostamenti: in altri termini, nessuna normativa impone di rimanere all’interno della propria città di residenza con divieto assoluto di entrare in altra città limitrofa. Pensiamo al caso in cui un cittadino abiti in una zona periferica di confine tra due città ed intenda recarsi, per l’acquisto di beni di prima necessità, presso un alimentari della città limitrofa e non della propria in quanto più vicino. Ebbene, in tal caso non vi è nessuna violazione.
  • in qualsiasi spostamento ( nella propria città o fuori ) occorre giustificare tramite autocertificazione la “valida” motivazione del detto spostamento: quindi, se ci si reca sul posto di lavoro, occorrerà comunicare i dati del proprio datore di lavoro e la tipologia di rapporto lavorativo, se ad esempio è subordinato – nel caso in cui non vi sia un vincolo contrattuale ad esempio di lavoro subordinato occorrerà plausibilmente fornire qualsiasi elemento utile a ricostruire e documentare la propria attività in favore del soggetto che riceve la prestazione ( vedi il caso dei lavoratori autonomi che eseguono un incarico affidato da un terzo – ad esempio per la consegna di merce od altro ).
  • è consigliato, ma non indispensabile, avere con sé l’autocertificazione già compilata, magari con fotocopia di un proprio documento di riconoscimento, potendosi la stessa fornire contestualmente all’eventuale controllo operato dagli agenti preposti attraverso la compilazione, in quell’occasione, del modello fornito dagli stessi agenti, ovvero, in alternativa, rendendo le proprie dichiarazioni ( ben argomentate ) al pubblico ufficiale che le annoterà: queste ultime infatti, ove rispettino i contenuti minimi dell’autocertificazione, sono da intendersi atto equipollente alla stessa.
  • Successivamente alla verifica e dopo aver reso le proprie dichiarazioni, occorre essere ben consapevoli che le autorità potranno effettuare controlli sulla veridicità delle stesse, ovvero, laddove siano sin dall’origine ritenute incongrue e/o non sufficienti, potranno inoltrare gli atti alla Procura della Repubblica competente per territorio la quale avvierà un procedimento penale a carico dell’indagato.
  • A questo punto, laddove il cittadino abbia effettuato uno spostamento sul territorio senza valido motivo, incorrerà nella violazione e contestazione del sopra indicato art. 650 C.P. mentre, laddove oltre a quanto suddetto renda dichiarazioni false o mendaci, incorrerà nell’ulteriore ( ben più grave ) contestazione dell’art. 495 C.P. a mente del quale “Chiunque dichiara o attesta falsamente al pubblico ufficiale l’identità, lo stato o altre qualità della propria o dell’altrui persona è punito con la reclusione da uno a sei anni”.

Ebbene, le sopra sommariamente indicate violazioni non rappresentano tuttavia l’unica possibile problematica, essendovi ulteriori illeciti penali che assumono rilevanza ancor più rilevante: si fa riferimento all’art. 452 c.p.c. per i delitti colposi contro la pubblica salute e che prevedono la reclusione da 3 a 12 anni ed in particolare al reato di epidemia (nell’ipotesi colposa), che punisce chi «cagiona un’epidemia mediante la diffusione di germi patogeni», e che in caso di dolo è punito con la pena dell’ergastolo (art. 438 c.p.).
Di tali reati, Forze di polizia e Forza pubblica dovranno rendere edotte le persone in movimento soggette a controllo, come previsto ed illustrato nella direttiva dell’8 marzo del ministro dell’interno che dà attuazione al decreto della presidenza del consiglio dei ministri dell’8 marzo con le misure definite “antiCovid”.

Da avvocato non esperto di diritto penale e che rivolge la propria attività professionale ad altro, ritengo tuttavia utile illustrare brevemente i punti basilari del presente articolo, cercando di sensibilizzare, per quanto possibile, i lettori al rigoroso rispetto dei provvedimenti del Governo i quali non vanno interpretati, bensì applicati.
La fuga da una città ad un’altra nell’opposto versante italiano, determinata dalla volontà di sottrarre sé medesimi ed i propri cari da una zona di focolaio, nella consapevolezza della violazione di legge e dell’elevato rischio di contagio, è meritevole di ergastolo e così deve essere trattata per dolo eventuale, laddove poi si risulti positivi e si contagi qualcuno.

Sensibilità, senso civico, rispetto per il prossimo e senso di responsabilità, sono i principi basilari di uno stato civile e di diritto come l’Italia si professa di essere.

Gli italiani si professano anch’essi?

Nella speranza di aver fatto cosa utile e gradita

La Direzione – Studio Legale Redivo